mercoledì 28 gennaio 2009
martedì 27 gennaio 2009
elena ledda
una delle voci femminili che io prediligo per chi volesse maggiori informazioni ho creato un gruppo a lei dedicato quà http://www.lastfm.it/group/Elena+Ledda
da il tempo :lucio anneo seneca
della mente umana di fronte a questo problema:
gli uomini non permettono che uno occupi i loro
poderi, e per la minima divergenza su questioni
di confini si infuriano e sono pronti a colpire con
sassi e armi; poi tranquillamente lasciano che altri
entrino nella loro vita, anzi sono loro stessi a in-
trodurvi quelli che a poco a poco ne diventeranno
i padroni. È ben difficile trovare uno disposto a
dividere con altri il suo denaro; ma la vita cia-
scuno la distribuisce a centinaia di persone. Tutti
sono avari quando si tratta di tenersi ben stretto il
patrimonio, ma sono generosissimi nel buttar via
il tempo: e pensare che questa è l'unica cosa di cui
sarebbe molto decoroso essere avari!
De Brev. Vit. 3
da il tempo :lucio anneo seneca
futuro. Di questi il presente è breve, il futuro dub-
bio, il passato certo. Su quest'ultimo la sorte ha
perduto ogni potere: il passato non può più dipen-
dere dal capriccio di alcuno, ... è la parte sacra e
inviolabile del nostro tempo, sta al di sopra di tutti
gli eventi umani, fuori dal dominio della sorte,
non presenta incognite, non è toccata da povetà
o malattie, non può essere sconvolta né esserci
strappata: la si possiede così com'è per sempre,
senza brividi. ... basta un cenno e il passato ci
starà davanti e lo potremo valutare e trattenere...
Il presente è brevissimo, tanto da poter sembrare
inesistente; infatti è sempre in movimento, scorre,
precipita, cessa di essere prima ancora di arriva-
re...
De Brev. Vit. 10
...mai abbastanza ci si potrà stupire dell'ottusità
della mente umana di fronte a questo problema:
gli uomini non permettono che uno occupi i loro
poderi, e per la minima divergenza su questioni
di confini si infuriano e sono pronti a colpire con
sassi e armi; poi tranquillamente lasciano che altri
entrino nella loro vita, anzi sono loro stessi a in-
trodurvi quelli che a poco a poco ne diventeranno
i padroni. È ben difficile trovare uno disposto a
dividere con altri il suo denaro; ma la vita cia-
scuno la distribuisce a centinaia di persone. Tutti
sono avari quando si tratta di tenersi ben stretto il
patrimonio, ma sono generosissimi nel buttar via
il tempo: e pensare che questa è l'unica cosa di cui
sarebbe molto decoroso essere avari!
De Brev. Vit. 3
lunedì 26 gennaio 2009
Il cacciatore di aquiloni
Trama
Alla fine degli anni ’70 Amir vive, insieme al suo ricco padre, a Kabul. Appartenenti all’etnia dei Pashtun, possono considerarsi dei privilegiati. Miglior amico di Amir è Hassan, figlio del servitore di casa, appartenente agli Hazara, minoranza etnica afgana. I due bambini hanno caratteri diversi: Amir è timido ed introverso, con la passione della scrittura; Hassan invece è un ragazzino molto coraggioso, disposto a tutto pur di proteggere il proprio amico. Entrambi amano far volare gli aquiloni, in particolare durante la “caccia agli aquiloni”, una gara che coinvolge la maggior parte dei ragazzi della città, il cui scopo consiste nell’appropriarsi degli aquiloni degli altri partecipanti spezzandone il filo. Ma la loro tenera amicizia finirà improvvisamente a causa di un terribile episodio.
A mio parere un libro scorrevole denso di emozioni ,fatto molto bene anche il film.
Una storia densa di emozioni in un paese devastato dalle guerre
sabato 24 gennaio 2009
Le verger du roi Louis:Théodore de Banville
La forêt où s'éveille Flore,
A des chapelets de pendus
Que le matin caresse et dore.
Ce bois sombre, où le chêne arbore
Des grappes de fruits inouïs
Même chez le Turc et le More,
C'est le verger du roi Louis.
Tous ces pauvres gens morfondus,
Roulant des pensers qu'on ignore,
Dans des tourbillons éperdus
Voltigent, palpitants encore.
Le soleil levant les dévore.
Regardez-les, cieux éblouis,
Danser dans les feux de l'aurore.
C'est le verger du roi Louis.
Ces pendus, du diable entendus,
Appellent des pendus encore.
Tandis qu'aux cieux, d'azur tendus,
Où semble luire un météore,
La rosée en l'air s'évapore,
Un essaim d'oiseaux réjouis
Par-dessus leur tête picore.
C'est le verger du roi Louis.
Prince, il est un bois que décore
Un tas de pendus enfouis
Dans le doux feuillage sonore.
C'est le verger du roi Louis!
(verger du roi Louis) tradotto il verziere di re Luigi,terreno adibito alle esecuzioni per impiccagione nella Francia medioevale musicata e cantata da Georges brassen ,la musica è stata poi utilizzata da de Andrè in La morte 1967
Georges Brassen:Mourir pour des idées
Mourir pour des idées, l'idée est excellente
Moi j'ai failli mourir de ne l'avoir pas eu
Car tous ceux qui l'avaient, multitude accablante
En hurlant à la mort me sont tombés dessus
Ils ont su me convaincre et ma muse insolente
Abjurant ses erreurs, se rallie à leur foi
Avec un soupçon de réserve toutefois
Mourrons pour des idées, d'accord, mais de mort lente,
D'accord, mais de mort lente
Jugeant qu'il n'y a pas péril en la demeure
Allons vers l'autre monde en flânant en chemin
Car, à forcer l'allure, il arrive qu'on meure
Pour des idées n'ayant plus cours le lendemain
Or, s'il est une chose amère, désolante
En rendant l'âme à Dieu c'est bien de constater
Qu'on a fait fausse route, qu'on s'est trompé d'idée
Mourrons pour des idées, d'accord, mais de mort lente
D'accord, mais de mort lente
Les saint jean bouche d'or qui prêchent le martyre
Le plus souvent, d'ailleurs, s'attardent ici-bas
Mourir pour des idées, c'est le cas de le dire
C'est leur raison de vivre, ils ne s'en privent pas
Dans presque tous les camps on en voit qui supplantent
Bientôt Mathusalem dans la longévité
J'en conclus qu'ils doivent se dire, en aparté
"Mourrons pour des idées, d'accord, mais de mort lente
D'accord, mais de mort lente"
Des idées réclamant le fameux sacrifice
Les sectes de tout poil en offrent des séquelles
Et la question se pose aux victimes novices
Mourir pour des idées, c'est bien beau mais lesquelles ?
Et comme toutes sont entre elles ressemblantes
Quand il les voit venir, avec leur gros drapeau
Le sage, en hésitant, tourne autour du tombeau
Mourrons pour des idées, d'accord, mais de mort lente
D'accord, mais de mort lente
Encor s'il suffisait de quelques hécatombes
Pour qu'enfin tout changeât, qu'enfin tout s'arrangeât
Depuis tant de "grands soirs" que tant de têtes tombent
Au paradis sur terre on y serait déjà
Mais l'âge d'or sans cesse est remis aux calendes
Les dieux ont toujours soif, n'en ont jamais assez
Et c'est la mort, la mort toujours recommencée
Mourrons pour des idées, d'accord, mais de mort lente
D'accord, mais de mort lente
O vous, les boutefeux, ô vous les bons apôtres
Mourez donc les premiers, nous vous cédons le pas
Mais de grâce, morbleu! laissez vivre les autres!
La vie est à peu près leur seul luxe ici bas
Car, enfin, la Camarde est assez vigilante
Elle n'a pas besoin qu'on lui tienne la faux
Plus de danse macabre autour des échafauds!
Mourrons pour des idées, d'accord, mais de mort lente
D'accord, mais de mort lente
venerdì 23 gennaio 2009
MANDELA: Lettera sull'Apartheid in Israele
Lettera di Arjan El Fassed Nelson Mandela al giornalista Thomas Friedman sull’apartheid in Israele
"Caro Thomas (Friedman),
So che entrambi desideriamo la pace in Medioriente, ma prima che tu continui a parlare di condizioni necessarie da una prospettiva israeliana, devi sapere quello che io penso.
Da dove cominciare?
Che ne dici del 1964?
Lascia che ti citi le mie parole durante il processo contro di me. Oggi esse sono vere quanto lo erano allora:
"Ho combattuto contro la dominazione dei bianchi ed ho combattuto contro la dominazione dei neri.
Ho vissuto con l'ideale di una societa' libera e democratica in cui tutte le sue componenti vivessero in armonia e con uguali opportunita'.
E' un ideale che spero di realizzare.
Ma, se ce ne fosse bisogno, e' un ideale per cui sono disposto a morire".
Oggi il mondo, quello bianco e quello nero, riconosce che l'apartheid non ha futuro. In Sud Africa esso e' finito grazie all'azione delle nostre masse, determinate a costruire pace e sicurezza. Una tale determinazione non poteva non portare alla stabilizzazione della democrazia.
Probabilmente tu ritieni sia strano parlare di apartheid in relazione alla situazione in Palestina o, piu' specificamente, ai rapporti tra palestinesi ed israeliani. Questo accade perche' tu, erroneamente, ritieni che il problema palestinese sia iniziato nel 1967. Sembra che tu sia stupito del fatto che bisogna ancora risolvere i problemi del 1948, la componente piu' importante dei quali e' il Diritto al Ritorno dei profughi palestinesi.
Il conflitto israelo-palestinese non e' una questione di occupazione militare e Israele non e' un paese che si sia stabilito "normalmente" e che, nel 1967, ha occupato un altro paese. I palestinesi non lottano per uno "stato", ma per la liberta', l'indipendenza e l'uguaglianza, proprio come noi sudafricani.
Qualche anno fa, e specialmente durante il governo Laburista, Israele ha dimostrato di non avere alcuna intenzione di restituire i territori occupati nel 1967; che gli insediamenti sarebbero rimasti, Gerusalemme sarebbe stata sotto l'esclusiva sovranita' israeliana e che i palestinesi non avrebbero mai avuto uno stato indipendente, ma sarebbero stati per sempre sotto il dominio economico israeliano, con controllo israeliano su confini, terra, aria, acqua e mare.
Israele non pensava ad uno "stato", ma alla "separazione". Il valore della separazione e' misurato in termini di abilita', da parte di Israele, di mantenere ebreo lo stato ebreo, senza avere una minoranza palestinese che potrebbe divenire maggioranza nel futuro. Se questo avvenisse, Israele sarebbe costretto a diventare o una democrazia secolare o uno stato bi-nazionale, o a trasformarsi in uno stato di apartheid non solo de facto, ma anche de jure.
Thomas, se vedi i sondaggi fatti in Israele negli ultimi trent'anni, scoprirai chiaramente che un terzo degli israeliani e' preda di un volgare razzismo e si dichiara apertamente razzista. Questo razzismo e' della natura di: "Odio gli arabi" e "Vorrei che gli arabi morissero". Se controlli anche il sistema giudiziario in Israele, vi troverai molte discriminazioni contro i palestinesi. E se consideri i territori occupati nel 1967, scoprirai che vi si trovano gia' due differenti sistemi giudiziari che rappresentano due differenti approcci alla vita umana: uno per le vite palestinesi, l'altro per quelle ebree. Ed inoltre, vi sono due diversi approcci alla proprieta' ed alla terra. La proprieta' palestinese non e' riconosciuta come proprieta' privata perche' puo' essere confiscata. Per quanto riguarda l'occupazione israeliana della West Bank e di Gaza, vi e' un fattore aggiuntivo. Le cosiddette "aree autonome palestinesi" sono bantustans. Sono entita' ristrette entro la struttura di potere del sistema di apartheid israeliano.
Lo stato palestinese non puo' essere il sottoprodotto dello stato ebraico solo perche' Israele mantenga la sua purezza ebraica. La discriminazione razziale israeliana e' la vita quotidiana della maggioranza dei palestinesi. Dal momento che Israele e' uno stato ebraico, gli ebrei godono di diritti speciali di cui non godono i non-ebrei. I palestinesi non hanno posto nello stato ebraico.
L'apartheid e' un crimine contro l'umanita'. Israele ha privato milioni di palestinesi della loro proprieta' e della loro liberta'. Ha perpetuato un sistema di gravi discriminazione razziale e disuguaglianza. Ha sistematicamente incarcerato e torturato migliaia di palestinesi, contro tutte le regole della legge internazionale. In particolare, esso ha sferrato una guerra contro una popolazione civile, in particolare bambini.
La risposta data dal Sud Africa agli abusi dei diritti umani risultante dalla rimozione delle politiche di apartheid, fa luce su come la societa' israeliana debba modificarsi prima di poter parlare di una pace giusta e durevole in Medio oriente.
Thomas, non sto abbandonando la diplomazia. Ma non saro' piu' indulgente con te come lo sono i tuoi sostenitori. Se vuoi la pace e la democrazia, ti sosterro'. Se vuoi l'apartheid formale, non ti sosterro'. Se vuoi supportare la discriminazione razziale e la pulizia etnica, noi ci opporremo a te.
Quando deciderai cosa fare, chiamami."
giovedì 22 gennaio 2009
Ballata delle madri:Pierpaolo Pasolini
Ballata delle madriMi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d’esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l’antico, vergognoso segreto
d’accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini..
.
Da Pier Paolo Pasolini, Bestemmia. Tutte le poesie,
vol. I, Garzanti, Milano 1993
mercoledì 21 gennaio 2009
COSÌ DIVENTIAMO LA VERSIONE CATTOLICA DEL PARTITO RADICALE. SU UN DIOCESANO, I DUBBI DI UN CREDENTI SUL CASO ENGLARO
34740. CREMONA-ADISTA. “Il pensiero di un credente controcorrente”: così, nell’edizione del 20 novembre scorso, il settimanale diocesano di Cremona, la Vita Cattolica, presenta la lettera di Marco Ruggeri, cremonese impegnato nella Caritas diocesana, che contesta la posizione della Chiesa sul caso di Eluana Englaro ed invita “a non diventare la versione cattolica del partito radicale”. La lettera, ai cui contenuti il settimanale dedica una intera pagina, è preceduta da una breve introduzione redazionale che precisa come quella di Ruggeri, pur essendo un’opinione espressa a titolo personale, ponga “alcuni interrogativi” che meritano di essere pubblicati “come stimolo per una riflessione in più”, ed è seguita da una lunga ed articolata replica di don Cesare Nisoli, parroco di Pandino e teologo morale. A completare il servizio sul caso di Eluana – nella pagina a fianco – una lunga cronaca che ne ricostruisce la vicenda e che dà conto della veglia di preghiera personalmente guidata dal vescovo Dante Lanfranconi nel duomo della città. Non mancano nemmeno alcune informazioni circa le iniziative prese contro “l’esecuzione di Eluana” da Comunione e Liberazione e Movimento per la Vita. Insomma, nessun dubbio sul fatto che Vita Cattolica sposi in toto la linea assunta dalla gerarchia dopo la sentenza della Cassazione. Nonostante ciò, la scelta di dare visibilità ad interventi come quello di Ruggeri, evidenzia la difficoltà dei media ecclesiastici (specie quelli più a contatto con le realtà ecclesiali presenti sul territorio) a mettere la sordina ad un malessere – quello espresso da una parte del mondo cattolico rispetto all’intransigenza mostrata dai vertici della Chiesa cattolica e dai suoi media – che continua ad acuirsi.
“Non so che sviluppo avrà la vicenda di Eluana - scrive Ruggeri nella sua lettera - ma come padre di cinque bambine e come credente vorrei esprimere la mia vicinanza al sig. Englaro e a sua moglie. Non so se le scelte di questo padre siano giuste, ma credo che appartengano ad un ambito in cui nessun uomo in quanto tale è autorizzato a brandire verità, o presunte verità, come clave. E come papà in questo momento non ho proprio voglia di giudicare questo papà, ma solo di abbracciarlo. Spero che i credenti e la Chiesa preghino e digiunino per questa famiglia, ma auspico anche che parrocchie e movimenti non organizzino veglie o incontri che avrebbero più il sapore della manifestazione di partito, piuttosto che un mettersi in ginocchio di fronte ad una tragedia che supera le nostre possibilità di comprenderla in pienezza. Certe iniziative un po’ mi mettono a disagio e certi toni adottati anche da cristiani mi spaventano. Stiamo attenti a non diventare la versione cattolica del partito radicale: il fronte è opposto, ma l’aggressività nello sparare giudizi inappellabili rischia di essere molto simile”. “Non siamo in grado, non sta a noi e questo perché ci mancano troppi elementi per farlo”. “Che almeno la Chiesa eviti di trasformare questo dramma in un campo di battaglia”. (valerio gigante)
domenica 18 gennaio 2009
Preghiera:Giorgio Gaber
Signore dei ricchi e dei fortunati prova ad esserlo, se puoi, anche di quelli che non hanno niente. Anche di chi ha paura e soffre, anche di chi pena e soffre, anche di chi lavora e lavora e lavora... e soffre e soffre e soffre.
Signore dei gentili e dei buoni prova ad esserlo, se vuoi, anche di quelli che sono cattivi e violenti perché non sanno come difendersi in questo nostro mondo.
Signore delle chiese e dei conventi, Signore delle suore e dei preti prova ad esserlo, se credi, anche dei cortili, delle fabbriche, delle puttane, dei ladri.
Signore, Signore dei vincitori, prova ad esserlo, se ci sei, anche dei vinti.
Amen.
giovedì 15 gennaio 2009
a proposito di sistemi operativi
Pablo Neruda:Canzone del maschio e della femmina
Il frutto dei secoli, che spreme il suo succo
nelle nostre vene.
La mia anima si diffonde nella tua carne distesa
per uscire migliorata da te, il cuore si disperde
stirandosi come una pantera,
e la mia vita, sbriciolata, si annoda
a te come la luce alle stelle!
Mi ricevi
come il vento la vela.
Ti ricevo
come il solco il seme.
Addormentati sui miei dolori se i miei dolori
se i miei dolori non ti bruciano,
legati alle mie ali,
forse le mie ali ti porteranno,
dirigi i miei desideri, forse ti duole la loro lotta.
Tu sei l'unica cosa che possiedo
da quando persi la mia tristezza!
Lacerami come una spada
o senti come un'antenna!
Baciami,
mordimi,
incendiami,
che io vengo alla terra
solo per il naufragio dei miei occhi di maschio
nell'acqua infinita dei tuoi occhi di femmina!
borghesia di claudio lolli :miticaaaa
Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.
Sei contenta se un ladro muore o se si arresta una puttana
se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana.
Sei soddisfatta dei danni altrui ti tieni stretta i denari tuoi
assillata dal gran tormento che un giorno se li riprenda il vento.
E la domenica vestita a festa con i capi famiglia in testa
ti raduni nelle tue Chiese in ogni città, in ogni paese.
Presti ascolto all'omelia rinunciando all'osteria
così grigia così per bene, ti porti a spasso le tue catene.
Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
io non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.
Godi quando gli anormali son trattati da criminali
chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali.
Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia
tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare.
Sai rubare con discrezione meschinità e moderazione
alterando bilanci e conti fatture e bolle di commissione.
Sai mentire con cortesia con cinismo e vigliaccheria
hai fatto dell'ipocrisia la tua formula di poesia.
Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
io non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.
Non sopporti chi fa l'amore più di una volta alla settimana
chi lo fa per più di due ore o chi lo fa in maniera strana.
Di disgrazie puoi averne tante, per esempio una figlia artista
oppure un figlio non commerciante, o peggio ancora uno comunista ... ex
Sempre pronta a spettegolare in nome del civile rispetto
sempre fissa lì a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto.
Sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa
e sempre pronta a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani.
Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia
per piccina che tu sia il vento un giorno, forse, ti spazzerà via.
mercoledì 14 gennaio 2009
IL SILVIO FURIOSO - Dario Fo
Silvio, che hai combinato? Dio santo! In che guaio ti sei ficcato?!
Ma chi te l'ha fatto fare di buttarti proprio contro quel mostro!? La piu' grande potenza finanziaria del mondo! Si', si', d'accordo, anche tu, Silvio, non scherzi: gestisci imprese edili, Blockbuster per la vendita di dvd, hai interessi pesanti in cliniche private, nella produzione e distribuzione di film, sale cinematografiche a caterve, tre televisioni, perfino navi da crociera, banche, palazzi e ville su ogni costa o isola, hai mani dappertutto, perfino fra le cosce di donne bellissime, alle donne poi fai proprio dei miracoli, basta che posi i tuoi occhi su di loro e diventano ministre del tuo governo. Ma chi sei, un messia?
Qualche santo di vecchio stile trasformava l'acqua in vino, tu trasformi chiappe in cervelli!
Ma attento, l'altro e' ancora piu' forte di te, piu' potente! E' al top dell'universo mondo.
Vedi, ho perfino soggezione a nominarlo! Tutti ne hanno timore, Murdoch mi vengono i brividi!
E tu eri riuscito a fartelo amico: lui ti rispettava, ti voleva bene come un grande padrone al suo piccolo chihuahua, e tu gli hai morsicato una coscia,
hai dato un calcio al suo Sky!
Ma tu sai che vuol dire "sky"? Cielo, vuol dire! Hai profanato il cielo! Ma che t'e' saltato in testa?
E pensare che all'inizio gli hai dato pure una mano, a quel re Mida che trasforma tutto in oro e diamanti! L'hai aiutato perché riuscisse a montare il suo grande giocattolo mediatico a pagamento. E poi, appena quello prende il volo e diventa un tuo concorrente temibile (quasi 5 milioni di abbonati) tu perdi la testa e impugnando il potere che ti viene dall'essere il presidente del Consiglio, gli ammolli di botto un raddoppio di Iva dal 10 al 20%. Ma ti rendi conto che mazzata gli hai assestato?! Duecento milioni di euro gli porti via all'istante, due terzi degli utili a Murdoch!
Ma tu, imboccato da Robin Hood-Tremonti, esclami: "Non ho fatto altro che togliere un ingiusto privilegio". Ma ti venisse la rogna! Proprio tu parli di privilegio? Con quella risposta proprio infelice hai scatenato l'ira di dio! Subito, economisti di rango ti fanno notare che Mediaset paga in tasse per il diritto di trasmettere le proprie tre televisioni una cifra a dir poco ridicola rispetto a quella che viene imposta a Murdoch. Il tutto sempre per tre televisioni, di cui una proprio illegale, prendi tre e paghi uno, anzi la meta' di uno! Senza contare che l'aliquota ribassata al 10% e' un regalo che ti sei fatto fare tu da Craxi, quanto Tele+ faceva parte della tua flotta televisiva. E poi, Silvio, vai a parlare di privilegi proprio tu che, da quando sei entrato in politica, hai buttato al cesso tutte le regole e le leggi che ti infastidivano nei tuoi affari! E per scantonare il fisco ti sei intruppato in paradisi fiscali e tutte le altre gabole: Lodo Retequattro, Lodo Mondadori, Lodo Alfano, Lodo Schifani, ti manca solo il Lodo T'imbrodo e poi ce li hai tutti. Vuoi parlare anche del conflitto di interessi? Ormai hai fatto fuori il conflitto e ti rimangono solo gli interessi, i tuoi, s'intende! Quando sei entrato in politica si mormorava che avessi 5 mila miliardi di lire di debiti. Ora si mormora che, pagati ormai i debiti, il tuo impero valga 6 volte tanto.
Capisco che tu abbia sentito al collo il fiato di quel mostro che ti si avvicina sempre piu' e rischia di staccarti di netto un orecchio. Oltretutto, proprio nel momento in cui Mediaset in borsa sta perdendo posizioni come un colabrodo, per non parlare delle preferenze nell'ascolto, la Rai ormai ti sta superando in ogni programma. E pensare che per mandarla sotto, 'sta Rai, ci hai infilato dentro tutti i tuoi uomini migliori, specialisti nelle frane disastrose, a cominciare da Gasparri, Del Noce, Sacca', Villari, detto "Vinavillari", perché dove si incolla non lo stacca nessuno.
E tu saresti un grande statista? Ma non t'hanno mai detto che primo dovere di un premier e' quello di non perdere mai l'a' plomb, non farsi mai travolgere dalla stizza velenosa? E tu, in un momento tragico come questo, con le banche che rischiano di saltare in aria una dopo l'altra, con le grandi industrie che stanno crollando come castelli di carta, e i poveri che ogni giorno aumentano di numero: i pensionati, le folle di operai e impiegati scaraventati fuori dalle fabbriche tu li rimbrotti stizzito perché non dimostrano sufficiente ottimismo e urli loro: "Spendete, acquistate, perdio, altrimenti l'industria affonda! Ricordatevi che se andiamo a picco la responsabilita' e' della vostra taccagneria!" E al grido di "Ma non abbiamo quattrini, non ce la facciamo a superare il terza settimana", tu seccato ribadisci: "Troppo facile spendere
quando hai la busta paga gonfia: il cittadino che davvero ama il proprio Paese salva l'economia spendendo anche quello che non ha!".
Silvio, sei il campione mondiale dei gaffeur! Tant'e' che perfino giornali come La Stampa e il Corriere della Sera ti bacchettano, imprecando: "Basta, Presidente, con 'sta danza forsennata del metto la tassa, la raddoppio, no ci ripenso, e annullo il decreto, cioe', neanche per sogno, la tassa c'e' e guai chi la tocca o la critica!"
"Io sono un uomo pieno di fede nelle mie azioni, e quindi esigo la fiducia. E dovete piantarla, voi socialdemocratici della malora, di aggredirmi ad ogni pie' sospinto: le vere tasse intoccabili non sono quelle che privilegiano le televisioni satellitari, ma il blocco che abbiamo ordinato delle tariffe determinanti come quelle del gas, della luce, dei pedaggi autostradale che favoriscono la classe meno abbiente in reale difficolta'.
Come?... Scusate, c'e' Tremonti che mi chiama: Non sono bloccate? Neanche il gas, la luce e l'autostrada? Puo' essere che vengano aumentate? Porca d'una miseria, non potevate avvertirmi due secondi prima? Che figura da peracottaro mi fate fare Non potete costringermi a una sputtanata del genere, io non mi smentisco mai!... No, no, dimmi Giulio cosa c'e' ancora?
La Rai? Si abbassa il canone? Ah no? Anzi si aumenta? Eh si', lo so che io ne avro' gran vantaggio, ma non posso dare una notizia del genere, mi sputtano troppo! Senti, almeno per oggi facciamo finta di niente, glielo diremo a Natale, anzi dopo dopo Pasqua, lasciamogli godere tranquilli questi quaranta euro della social card. Di cosa si lagnano ancora? Ripetete prego!"
CITTADINI: "Tremonti ha tolto lo sconto fiscale sulle ristrutturazioni ecologiche!"
BERLUSCONI: "E allora? Dobbiamo risparmiare!"
CITTADINI: "Ma eravamo d'accordo che si faceva meta' per uno: la nostra parte l'abbiamo gia' sborsata, beh adesso ci fregate?"
BERLUSCONI: "Io non ne so niente! Non so niente di niente! Cosa ci posso fare? Dovete smetterla di attaccarmi, io non sono un uomo qualsiasi, sono un'istituzione un po' di rispetto, perdio! Cosa? Andiamo, per favore cercate di moderare i termini: Non si dice Siamo nella merda fino al collo!
E poi, di cosa vi lamentate? Le previsioni meteorologiche annunciano per le Sante Feste correnti fredde fino allo zero, quindi approfittatene: la merda e' tiepida, state sotto e godetevi questa deliziosa opportunita'!... Attenti a non ingozzarvi, moderazione, prego!... E buon Natale!"
di Dario Fo e Franca Rame
I diari della motocicletta
lunedì 12 gennaio 2009
da scritti giovanili :Antonio Gramsci
Indifferenti
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere partigiani (1)". Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
che tristezza
Detto questo ritengo l'olocausto uno degli atti più vergognosi della storia del' uomo
domenica 11 gennaio 2009
Classici e paccottiglia tra le letture di Hitler
OCCASIONI MANCATE
Classici e paccottiglia tra le letture di Hitler
La disinvolta ricostruzione di Ryback
Timothy W. Ryback, La Biblioteca di Hitler. Che cosa leggeva il Fuhrer, trad. di Nicoletta Lamberti, Mondadori, pp. 262, euro 19.00
Come spesso succede agli autodidatti, Adolf Hitler ebbe con i libri un rapporto compulsivo, da incettatore e rigattiere prima che da collezionista: sugli scaffali della sua biblioteca itinerante coabitavano infatti, alla rinfusa, classici del nazionalismo e dell'irrazionalismo, nonché, ovviamente, dell'antisemitismo (l'immancabile Clausewitz, l'edizione integrale di Fichte donatagli ad hoc da Leni Riefenstahl, così come singoli tomi di Schopenhauer e Nietzsche, la biografia di Federico il Grande scritta da Carlyle, Il mito del XX secolo di Alfred Rosenberg, ecc.) ma anche libri da dozzina quali almanacchi militari, monografie astrologiche, enciclopedie popolari, vite di condottieri e romanzi d'appendice, inclusi i western alla tedesca di Karl May. Come invece succede agli scrittori dilettanti (e il Mein Kampf ne rimane il più solenne e sinistro monumento), Hitler esercitava su di essi un brutale saccheggio: stralciava dai suoi libri, che non leggeva quasi mai per intero, i passi che gli sembrassero ad effetto, li mandava a memoria e poi, raramente citandoli, procedeva a incorporarli in vista della pagina ancora da scrivere o del prossimo comizio.
Arrivò a possedere circa ventimila volumi, compresi gli omaggi dei servi e degli innumerevoli ossequienti al suo regime: già scampati allo zelo censorio del proprio ufficio di segreteria, al momento del suicidio del Fuhrer (30 aprile '45) i volumi di sua proprietà occupavano non meno di tre biblioteche: quella ufficiale della Cancelleria, quella del Berghof, il buen retiro sulle Alpi Bavaresi, e quella del Bunker terminale, unitamente a siti minori di Monaco o Berlino e alle varie biblioteche da campo che la guerra avrebbe via via moltiplicato. Alla Liberazione, questo patrimonio bibliografico condivise la disfatta della Germania: andò distrutto, espropriato o svenduto al mercato nero. Un nucleo consistente sopravvisse tuttavia, sotto la segnatura «Hitler Library», presso la Library of Congress di Washington ed è ciò che si propone di analizzare Timothy W. Ryback in La Biblioteca di Hitler. Che cosa leggeva il Führer. Il lavoro, complessivamente onesto, è al tempo stesso un'occasione mancata o, in altri termini, un libro che ambirebbe alla compiutezza storiografica e però resta nei paraggi del reportage. Non è mai chiaro se Ryback si proponga di ricomporre almeno in effigie un patrimonio bibliografico disperso oppure di usarne i testi residui per ricostruire, almeno a grandi linee, la formazione del pittore fallito nonché ex caporale dell'esercito asburgico. Fatto sta che Ryback rimane a mezza strada perché tutta la prima parte del suo studio si riduce a una analisi delle fonti storico-filosofiche, abbastanza risapute, del Mein Kampf (con una certa opacità quanto agli specifici dell'antisemitismo hitleriano, se si eccettua il richiamo a L'ebreo internazionale di Henry Ford) mentre la seconda parte insegue le avventure bibliografiche del dittatore, sempre molto singolari ma inevitabilmente frammentarie e dunque aneddotiche.
Manca innanzitutto una descrizione analitica dell'attuale Fondo di Washington o almeno un elenco sommario dei libri che lo compongono; inoltre la bibliografia che Ryback adduce ad ogni singolo capitolo non solo è scarna ma è citata, all'occorrenza, con eccessiva approssimazione (e stupisce non vi sia mai menzionato il lavoro fondamentale, e pionieristico, di Victor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich, edito in Italia da Giuntina nel '99 con la prefazione di Michele Ranchetti). Peraltro lo stile espositivo di Ryback ha il pregio della linearità e della chiarezza, non esclusa la disinvoltura per cui oggi vanno celebri certi divulgatori anglosassoni: ad esempio, il motto habent sua fata libelli più volte rammentato nel testo come fosse anonimo e infine attribuito in epigrafe a Walter Benjamin, nientemeno, è in effetti un verso proverbiale del De litteris (II sec. d. c.) di Terenziano Mauro. In realtà, è come se la biblioteca di Hitler, con tutta la sua paccottiglia, non fosse mai esistita; la sua vera biblioteca, per micidiale contrappasso, era quella che i nazisti avevano bruciato ritualmente nei falò del maggio 1933. Proprio un amico e collaboratore di Benjamin, che ovviamente Ryback ignora, vale a dire Leo Lowenthal, avrebbe cominciato il suo discorso per il cinquantesimo anniversario dell'olocausto bibliografico (I roghi dei libri, a cura di Elena Lowenthal, il melangolo 1991) citando i versi profetici di un ebreo tedesco, Heinrich Heine: «Là dove si danno alle fiamme i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini».
sabato 10 gennaio 2009
di Luciana Castellina ROMPERE IL SILENZIO
E tuttavia non possiamo non rilevare che fino ad oggi la risposta dell'Italia democratica è stata del tutto inadeguata rispetto all'enormità dell'attacco. Tanto più stridente in Italia, il paese dove la protesta è stata finora più limitata, e dove invece tradizionalmente la questione palestinese era stata sempre molto sentita da un'opinione pubblica assai vasta. Questa volta sono stati invece soprattutto i direttamente colpiti - i palestinesi e gli arabi immigrati - ad animare le manifestazioni, in una dolorosa solitudine, accompagnati da qualche insensato incendio di bandiere.
Non possiamo non chiederci seriamente perché. Ancora fino a pochi anni fa, quando l'Iraq fu aggredito, la reazione fu vasta e forte, coordinata a livello mondiale. Non è così oggi.
E' troppo facile rispondere che dipende dal fatto che i movimenti non ci sono più, che le forze messe in moto dai Forum sociali sono ormai cosa del passato, inghiottite dal berlusconismo. Certo, un indebolimento indubbio c'è stato, anche una vera involuzione politico-culturale. Ma se oggi nessuno scende in piazza come prima è soprattutto perché da molto tempo il movimento non solo non vince, ma non ottiene alcun riscontro politico. Non dal governo, e - che è ancora più grave - nemmeno dalle forze che dovrebbero essere di opposizione. Il senso di inutilità della lotta produce inesorabilmente paralisi, disimpegno. Rassegnazione e casomai solo la rabbia dell'impotenza, o sfogo nell'agorà virtuale del web che certo ha un suo peso, ma non è, non può essere, sostitutiva della mobilitazione fisica.
Che fare, allora? Il segnale che viene da queste giornate di relativo silenzio è preoccupante ben al di là della vicenda di Gaza. Indica ancora una volta quanto profonda sia oramai la crisi politica, la sfiducia nella politica. Quanto forte sia ormai l'antipolitica.
Pensare di risolvere il dramma mediorientale ormai incancrenito con qualche corteo in effetti appare a tal punto irreale che si capisce come non si abbia voglia nemmeno più di provarci. L'atonia delle forze politiche crea un vuoto che fa passare a tutti la voglia di scuoterle.
E tuttavia bisogna reagire. Vi sembrerà patetico questo richiamo al volontarismo e forse lo è. E però ci sono alcune fondamentali ragioni per cui occorre farlo: perché se lasciamo i palestinesi soli, e con loro chi condivide quel disgraziato territorio mediorientale, non faremo che accendere ancor più la tentazione di atti disperati, una tendenza del resto già sempre più diffusa; perché lo dobbiamo anche a quel drappello di coraggiosi israeliani che si stanno ribellando alla politica del loro governo e che sarebbe tragico se lasciassimo senza eco.
E perché anche se non saranno le nostre manifestazioni a sciogliere il nodo israelo-palestinese, dichiararsi a priori impotenti equivale a far passare la tendenza più pericolosa: quella che consiste nel sostenere che non c'è ormai più soluzione.
So che le parole appaiono ormai tutte vane. Ma per difficile che sia occorre continuare a dire almeno una cosa: che con questa politica Israele si condanna a una prospettiva senza pace, perché ogni vittoria strappata con il sopruso della forza militare verrà pagata duramente con l'insicurezza permanente, perchè la diffusione del terrorismo sarà incontenibile e così l'odio di coloro che abitano la stessa regione nella quale il popolo israeliano ha deciso di vivere. Serve a spingere gli stessi palestinesi, di cui pure è comprensibile una politica spesso dettata dalla disperazione, a ricercare strade più efficaci per la propria liberazione. Serve a noi - la sinistra- per ricostruire la nostra soggettività, ridare senso ai nostri valori, per non sentirci vermi che strisciano a terra schiacciati dai potenti. Vorrei aggiungere: a non doverci vergognare.
Nel frattempo al Tg1 Gaza è già passata terza notizia, preceduta dal dramma dei milanesi con la neve e degli europei minacciati di dover ridurre il riscaldamento. È naturale: il dramma dei palestinesi è ormai minore, camion delle Nazioni unite possono infatti transitare per tre ore per andare a soccorrere i sopravvissuti (pochi) dell'ultimo bombardamento che dell'Onu ha distrutto una scuola. Allo scadere del termine, non un minuto di più, le bombe ricominceranno a cadere, ma domani - state tranquilli - potrà passare nuovamente chi va a raccogliere i feriti e i cadaveri che nel frattempo quelle bombe hanno mietuto.
LA LETTERA DI UN CAPO INDIO AI GOVERNI DELL’EUROPA: 500 ANNI FA L’AMERICA VI HA…
Io, Guaicaipuro Cuatémoc, sono venuto qui ad incontrare quelli che celebrano l'incontro. Io, discendente di coloro che popolavano l'America quarantamila anni fa, sono venuto qui ad incontrare quelli che ci incontrarono cinquecento anni fa. Qui ci incontriamo tutti: sappiamo quello che siamo, ed è quanto basta.
Non avremo mai altro
Il fratello doganiere europeo mi chiede il foglio scritto con il visto per poter scoprire quelli che mi scoprirono. Il fratello usuraio europeo mi chiede il pagamento di un debito contratto da un Giuda che non ho mai autorizzato a vendermi. Il fratello "azzeccagarbugli" europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche se si tratta di vendere esseri umani e interi Paesi senza chieder loro il consenso.
Li sto scoprendo
Anch’io posso reclamare pagamenti, posso reclamare interessi. Risulta nell'archivio delle Indie, carta su carta, ricevuta su ricevuta, firma su firma, che solamente tra il 1503 e il 1660 sono giunti a San Lúcar de Barrameda 185 mila chili d'oro e 16 milioni di chili d'argento provenienti dall'America. Saccheggio? Neanche a crederlo! Perché equivarrebbe a pensare che i fratelli cristiani vengono meno al loro settimo comandamento. Spoliazione? Guardami Tanatzin dall'immaginare che gli europei, come Caino, uccidono e poi negano di aver sparso il sangue del fratello! Genocidio? Questo sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomé de las Casas che parlano dell'incontro come di una distruzione delle Indie, o a estremisti come il dr. Arturo Pietri che afferma che il successo del capitalismo e l'attuale civiltà europea sono dovuti all'inondazione di metalli preziosi!
No! Questi 185 mila chili d'oro e 16 milioni di chili d'argento devono essere considerati come il primo di vari prestiti amichevoli da parte dell'America per lo sviluppo dell'Europa.
Pensare il contrario sarebbe presumere dei crimini di guerra, cosa che darebbe diritto non solo ad esigere un pagamento immediato, ma anche un indennizzo per danni e prevaricazioni. Io Guaicaipuro Cuatémoc preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi. Tali favolose esportazioni di capitale non furono che l'inizio di un piano Marshalltezuma per garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorevoli guerre contro i culti musulmani, difensori dell'algebra, della poligamía, del bagno quotidiano e di altre conquiste di una civiltà superiore.
Per questo, nella ricorrenza del Quinto Centenario del Prestito possiamo chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile o per lo meno produttivo delle risorse tanto generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale? Ci spiace dover dire di no.
In campo militare le hanno dilapidate nella battaglia di Lepanto, nelle "invincibili armate", nel Terzo Reich e in altre forme di sterminio reciproco, senza altro risultato che finire sotto l'occupazione delle truppe gringas della Nato, come Panama, ma senza avere nemmeno il canale...
Nel campo finanziario sono stati incapaci, dopo una moratoria di 500 anni, sia di restituire capitale e interessi, sia di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie prime e dalle energie a basso costo che importano dal Terzo Mondo.
Questo deplorevole quadro conferma le dichiarazioni di Milton Friedman per cui un'economia sussidiaria non potrà mai funzionare. E ci obbliga - per il suo stesso bene - a reclamare il pagamento del capitale e degli interessi che tanto generosamente abbiamo differito per tutti questi secoli.
Nel dire questo mettiamo in chiaro che non ci abbasseremo ad esigere dai fratelli europei i vili e sanguinari tassi, fluttuanti dal 20 fino al 30%, che i fratelli europei esigono dai popoli del Terzo Mondo. Ci limiteremo ad esigere la restituzione dei metalli preziosi anticipati, più il modico interesse fisso del 10% annuo, accumulato durante gli ultimi 300 anni. Su questa base, applicando la forma europea dell'interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono solo, come primo pagamento del loro debito, una massa di 185 mila chili d'oro e 16 milioni di chili di argento, ambedue elevate alla trecentesima potenza. Ossia, un numero per la cui espressione totale sarebbero necessarie più di 300 cifre e che supera ampiamente il peso della terra.
Molto pesante è questa mole d'oro e d'argento! Quanto peserà calcolata in sangue?
Addurre che l'Europa in mezzo millennio non ha potuto generare ricchezze sufficienti per cancellare questo modico interesse, sarebbe così grave come ammettere il suo assoluto fallimento finanziario e/o la demenziale irrazionalità delle tesi del capitalismo.
Tali questioni metafisiche, del resto, non inquietano gli indoamericani. Però esigiamo l'immediata sottoscrizione di una carta di intenti che disciplini i popoli debitori del vecchio continente; e che li obblighi a compiere il loro impegno mediante una immediata privatizzazione o riconversione dell'Europa che permetta loro di consegnarcela tutta intera come prima rata di un debito storico. Dicono i pessimisti del Vecchio mondo che la loro civiltà si trova in una situazione di bancarotta che gli impedisce di adempiere ai propri impegni finanziari o morali. In tal caso noi ci accontenteremmo che ci consegnassero la pallottola con cui uccisero il poeta. Però non potranno, perché questa pallottola è il cuore dell'Europa.
posto questo articolo publicato sul manifesto del 08-01-09 perchè credo sia molto interessante
Un po' meno che umani
Sciovinismo razziale e colpa collettiva, i due pregiudizi che appannano il giudizio morale sull'attacco israeliano
L'attacco sferrato in questi giorni da Israele a Gaza ha suscitato discussioni nella stampa mainstream. Ma sia coloro che si sono espressi contro l'attacco, sia coloro che lo appoggiano, nonostante tutte le differenze condividono un assunto fondamentale secondo cui Israele, in quanto democrazia occidentale industrializzata, accetterebbe il principio illuministico del valore assoluto della vita umana riconoscendo i diritti inalienabili che da esso derivano. In questo quadro, gli esponenti del governo israeliano sarebbero messi di fronte a un tragico dilemma: come affrontare le forze minacciose che non condividono tali valori - gli «estremisti islamici» - senza sacrificare i propri standard morali. Così, chi è favorevole all'attacco a Gaza si chiede in quale altro modo, se non con una micidiale forza militare, Israele possa proteggere i suoi cittadini dai lanci dei missili, mentre chi è contrario fa notare che il bombardamento, con i suoi alti costi in termini di vite umane, è comunque un mezzo inadeguato a garantire la sicurezza di Israele.
Coloro che si oppongono all'attacco, naturalmente, hanno ragione. Ma, sottoscrivendo tacitamente l'idea dello «scontro tra culture», essi sollevano Israele dalla sua responsabilità morale. L'aggressione attualmente in corso non è governata dal doloroso riconoscimento che i diritti umani comportano esigenze in conflitto tra loro; essa è animata piuttosto da un profondo razzismo, da tribalismo, e dall'antica dottrina della colpa collettiva.
Per verificare ciò che dico, basta cimentarsi in un semplice esperimento del pensiero. Supponiamo che i terroristi di Hamas si fossero nascosti a Tel Aviv (o a Los Angeles, o a Londra - l'esercizio è altrettanto illuminante se applicato agli Usa e/o a qualunque altro stato occidentale «civilizzato»). Sarebbe mai stata contemplata una aggressione come quella cui abbiamo assistito nei confronti di Gaza? I governanti israeliani avrebbero calcolato con la stessa risoluta freddezza il rapporto costi-benefici relativo a un massiccio attacco aereo sui quartieri ebraici? I governanti americani ed europei avrebbero perdonato un simile attacco? E i pundit avrebbero espresso la loro simpatia nei confronti del terribile dilemma di Israele? Naturalmente no! L'idea stessa di una simile azione sarebbe stata immediatamente riconosciuta come moralmente riprovevole, e chiunque l'avesse proposta sarebbe stato trattato con disprezzo. Sembra di sentirli: Cosa, noi come Hamas? Loro non rispettano la vita umana, noi sì.
Salvo il fatto, naturalmente, che «noi» - i membri dell'Occidente che si autodefinisce illuminato - non la rispettiamo più di quanto facciano «loro». Se davvero mettessimo in pratica i valori che dichiariamo di sostenere, non reagiremmo al nostro esperimento del pensiero in modo asimmetrico. Oppure acconsentiremmo alla decisione di sacrificare la popolazione di un quartiere di Tel Aviv per il bene superiore. O - più probabilmente - dovremmo giudicare questo attacco a Gaza moralmente fuori dei limiti. Il fatto che le diverse ipotesi non ci colpiscano immediatamente come asimmetriche - una spiacevole necessità in un caso, una atrocità morale nell'altro - tradisce l'esistenza in noi di due impulsi molto primitivi, anti-illuministici: sciovinismo razziale/tribale e credenza nella colpa collettiva.
Il primo è ovvio. Se siamo onesti, ammetteremo che gli uomini, le donne, i bambini di Gaza appaiono diversi dagli ebrei israeliani e dagli altri «occidentali»: loro sono «altro», non pienamente umani. Noi naturalmente rifiutiamo con veemenza certi giudizi. Ma se non crediamo che le cose stiano così, che cosa spiega il risultato del nostro esperimento? Perché non saremmo disposti a uccidere centinaia di «noi» per proteggere gli altri, mentre siamo pronti a uccidere loro, tanti quanti ne servono? E' semplice: loro non contano quanto contiamo noi.
O forse no. Qualcuno potrebbe obiettare che c'è una differenza moralmente rilevante tra le due popolazioni: poiché Hamas è una organizzazione palestinese, sarebbe moralmente giustificabile mettere a rischio la vita dei palestinesi per proteggere i cittadini israeliani. Ma questa obiezione, semplicemente, mette a nudo il secondo elemento anti-illuministico presente nella psiche occidentale moderna: la nozione di colpa collettiva.
Perché il mero fatto che Hamas è palestinese dovrebbe giustificare che sia messa a repentaglio la vita di palestinesi che non sono combattenti di Hamas e che non sono personalmente responsabili degli atti terroristici commessi da quella organizzazione? Ciò è possibile solo se crediamo che tutti i palestinesi nascano colpevoli, semplicemente - come dirlo altrimenti? - perché appartenenti alla stessa tribù di Hamas. In quale altro modo è possibile spiegare la distinzione tra le potenziali vittime innocenti palestinesi, e quelle innocenti «come noi»?
La colpa collettiva è una nozione moralmente primitiva e odiosa tanto quanto i principi attribuiti agli «estremisti religiosi». Ecco perché la punizione collettiva è proibita dal diritto internazionale. Inoltre, abbracciare la dottrina della colpa collettiva significa abbandonare una posizione moralmente valida. I terroristi fanno sempre appello ad essa per giustificare la morte di qualcuno. Al Qaeda considerava le vittime degli attacchi al World Trade Center adulatori del Grande Satana, così come Hamas considera le sue vittime collaborazionisti dell'occupazione. Se vogliamo respingere un simile modo di ragionare, non dobbiamo indulgervi noi stessi.
Se rinunciamo all'idea di colpa collettiva e di fedeltà alla tribù, non resta niente che distingua le vittime concretissime dell'attacco di Israele a Gaza dalle vittime immaginarie nel mio esperimento. A dire il vero, non c'è una differenza moralmente rilevante. Gridare a gran voce la nostra indignazione è l'unica risposta umanamente decorosa alla brutale aggressione di Israele. Ce lo impongono quei valori occidentali illuminati che tutti noi dovremmo avere cari.
* Joseph Levine insegna filosofia all'Univ. del Massachusetts, Amherst. Quersto articolo è stato pubblicato in PalestineChronicle.com
Traduzione Marina Impallomeni
venerdì 9 gennaio 2009
CARO VECCHIO FABER
LE NUVOLE
Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio
Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri
Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore
Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai
Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.
la musica
« L'uomo nel cui cuore la musica è senza eco, che non si commuove ad un bell'accordo di suoni, è capace di tutto, di ferire, di tradire di rubare. [...] Non fidarti di lui, ascolta la musica!
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io vivo per la musica?....vivo nella musica....o la vita è musica? non saprei quale delle tre scegliere ma anche se spesso ci sono note stonate scelgo la terza :-) |
il mio pensiero oggi va a gaza
Questo è lo stralcio di un articolo che appare sul blog guerrillaradio del noto pacifista Vittorio Arrigoni mentre leggo queste cose io mi sento a disagio nell'essere comodamente seduto davanti al mio pc a leggere e scrivere con l'unico inconveniente che se salta la luce forse perdo i dati che ho scritto e non salvato mentre quella gente muore semplicemente per il fatto di essere nata nel posto sbagliato almeno cosi vorrebbero farci credere gli israeliani
giovedì 8 gennaio 2009
Il mio primo pensiero
Sogno dei gigli bianchi
strade di canto e una casa di luce
Voglio un cuore buono
e non voglio il fucile
Voglio un giorno intero di sole
e non un attimo di una folle vittoria razzista
Voglio un giorno intero di sole
e non strumenti di guerra
Le mie non sono lacrime di paura
sono lacrime per la mia terra
Sono nato per il sole che sorge
non per quello che tramonta.
canto per la Palestina (anonimo)